miercuri, 4 noiembrie 2020

Il sacco di Roma 2 / Un jaf international

 Il sacco di Roma  / Un jaf international

François Ier vers 1530 par Jean Clouet, huile sur toile, 96 × 74 cm, Paris, musée du Louvre.


                    Portrait de Charles Quint par  Juan Pantoja de la Cruz (d'après Le Titien).


Un jaf …international!

Primul jaf al Romei a fost savarsit de soldatii cardinalului italian Pompeo Collona, la 20 sept.1526. Papa Clement VII, in disperare de cauza, solicita ajutorul regelui Frantei, Francisc I, dusmanul jurat al Habsburgilor.

Carol Quintul decide sa-l pedepseasca pe papa, trimitand impotriva lui un contingent de 12.000-15.000 pedestrasi (lansquenets), mercenari germani si elvetieni, sub conducerea ducelui Charles III de Bourbon, dusmanul de moarte al lui François I, care voia sa-l deposedeze de fiefuri.  Comanda efectiva a trupelor era detinuta de generalul Georg von Frundsberg, originar din Bavaria. Bolnav, acesta isi paraseste trupele, lasand comanda in mana conetabilului de Bourbon. Fatalitate! Acesta moare la 6 mai 1527, ucis de un foc de archebuza. Minunat prilej de dezordine! Roma e la picioarele soldatilor dornici de prada! Alaturi de pedestrasii germani si elvetieni mai erau 6.000 spanioli, condusi de marchizul del Vasto, 4-5.000 de italieni condusi de Sciarra Collona* si de condotierul Ferdinand de Gonzaga. Cavaleria usoara era condusa de un francez, printul Philibert de Chalon, prince d'Orange.

·       *(Nu cel din sec. XIV, care l-a palmuit pe papa Bonifaciu VIII la Agnani)

Dupa cutuma, soldatii primeau solda la fiecare 5 zile. Cand duceau lipsa de resurse, comandantii  dadeau liber la jaf timp de o zi. Ramasi de capul lor, soldatii s-au dezlantuit si astfel jaful s-a intins pe durata unui an. Mercenarii germani erau luterani, nutrind un resentiment salbatic fata de papa (baricadat in Castel Sant’Angelo timp de 6 luni).

Pe 21 mai 1527, imparatul Carol Quintul se afla la Valladolid, unde sarbatorea nasterea primului sau fiu, viitorul Filip al II-lea. Afland de dezastru, imparatul pune capat festivitatilor si se retrage in singuratate, pentru a se ruga.

Bilant: 20.000 de locuitori ai Romei ucisi; jumatate din asediatori, morti de ciuma; Roma depopulata ani de zile; lucrarile la Basilica Sf. Petru oprite pentru 10 ani; atelierele maestrilor Renasterii devalizate si distruse. Cand armele vorbesc, muzele tac, apoi fug.

Sacco di Roma (1527)


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Sacco di Roma
parte della Guerra della Lega di Cognac
Sack of Rome of 1527 by Johannes Lingelbach 17th century.jpg
Il sacco di Roma, dipinto di Johannes Lingelbach
Data6 maggio 1527
LuogoRoma
Schieramenti
Comandanti
Banner of the Holy Roman Emperor (after 1400).svg Ferrante I Gonzaga
Banner of the Holy Roman Emperor (after 1400).svg Alessandro I Gonzaga
Banner of the Holy Roman Emperor (after 1400).svg Carlo III di Borbone-Montpensier †
Banner of the Holy Roman Emperor (after 1400).svg Filiberto di Chalons
Banner of the Holy Roman Emperor (after 1400).svg Pier Luigi Farnese
Banner of the Holy Roman Emperor (after 1400).svg Georg von Frundsberg
Banner of the Holy Roman Emperor (after 1400).svg Kaspar von Frundsberg
Banner of the Holy Roman Emperor (after 1400).svg Konrad von Boyneburg-Bemelberg
Banner of the Holy Roman Emperor (after 1400).svg Ludovico Lodron
Banner of the Holy Roman Emperor (after 1400).svg Fabrizio Maramaldo
Banner of the Holy Roman Emperor (after 1400).svg Sciarra Colonna
Banner of the Holy Roman Emperor (after 1400).svg Camillo Colonna
Banner of the Holy Roman Emperor (after 1400).svg Prosperetto Colonna
Banner of the Holy Roman Emperor (after 1400).svg Giulio Colonna
Banner of the Holy Roman Emperor (after 1400).svg Giovanni Girolamo Colonna
Banner of the Holy Roman Emperor (after 1400).svg Federico Carafa
Banner of the Holy Roman Emperor (after 1400).svg Achille Borromeo
Banner of the Holy Roman Emperor (after 1400).svg Luigi Gonzaga
Banner of the Holy Roman Emperor (after 1400).svg Francesco De Marchi
Banner of the Holy Roman Emperor (after 1400).svg Giambattista Castaldo
Banner of the Holy Roman Emperor (after 1400).svg Girolamo Morone
Flag of Cross of Burgundy.svg Carlo di Lannoy
Flag of Cross of Burgundy.svg Alfonso III d'Avalos
Flag of Cross of Burgundy.svg Francisco de Carvajal
Flag of Cross of Burgundy.svg Hernando de Alarcón
Flag of Cross of Burgundy.svg Francisco de Aguirre
Flag of Cross of Burgundy.svg Ugo di Moncada
Flag of Cross of Burgundy.svg Pedro de Valdivia
Emblem of the Papacy SE.svg Kaspar Röist †
Emblem of the Papacy SE.svg Sigismondo Malatesta
Emblem of the Papacy SE.svg Ranuccio Farnese
Emblem of the Papacy SE.svg Stefano Colonna
Emblem of the Papacy SE.svg Camillo Orsini
Emblem of the Papacy SE.svgLucantonio Tomassoni
Emblem of the Papacy SE.svg Giulio Colonna
Emblem of the Papacy SE.svg Giambattista Savelli
Emblem of the Papacy SE.svg Pompeo Colonna
Emblem of the Papacy SE.svg Tommaso De Vio
Emblem of the Papacy SE.svg Renzo degli Anguillara
Emblem of the Papacy SE.svg Orazio Baglioni
Emblem of the Papacy SE.svg Antonio Altieri
Emblem of the Papacy SE.svg Giuliano Massimo
Emblem of the Papacy SE.svg Luca Massimo
Emblem of the Papacy SE.svg Bonifacio Caetani
Emblem of the Papacy SE.svg Giovanbattista Borghese
Emblem of the Papacy SE.svg Benvenuto Cellini
Bannière de France style 1500.svg Michele Antonio del Vasto, marchese di Saluzzo
Effettivi
20 0005 000 e 500 guardie svizzere
Perdite
Sconosciute ma non leggeresconosciute ma pesanti
45 000 civili morti, feriti o esiliati



Il sacco di Roma ebbe tragico bilancio: 20 000 cittadini furono uccisi, 10 000 fuggirono, 30 000 morirono per la peste portata dai lanzichenecchiPapa Clemente VII dovette arrendersi e pagare 400 000 ducati. L'evento segnò un momento importante delle lunghe guerre per il predominio in Europa tra il Sacro Romano Impero e il Regno di Francia, alleato con lo Stato della Chiesa. La devastazione e l'occupazione della città di Roma sembrarono confermare simbolicamente il declino dell'Italia in balia degli eserciti stranieri e l'umiliazione della Chiesa cattolica impegnata a contrastare anche il movimento della Riforma luterana sviluppatosi in Germania.
Il sacco di Roma avvenne il 6 maggio 1527 da parte delle truppe dei lanzichenecchi, i soldati mercenari tedeschi arruolati nell'esercito del Sacro Romano Impero Germanico. I lanzichenecchi erano di stanza in Italia per combattere contro le truppe della Francia, alleata con una serie di stati italiani ed in guerra contro Carlo V d'Asburgo. Di fede protestante e sottopagati, decisero di discendere su Roma e saccheggiarla violentemente. Il sacco è ultimo in ordine cronologico dopo quello del 1084.

Le premesse

Francesco I
Carlo V cinque anni dopo (1532)

La vicenda si inquadra nella più ampia cornice dei conflitti per la supremazia in Europa, tra gli Asburgo e i Valois, ovverosia tra Francesco I di ValoisRe di Francia e Carlo V d'AsburgoImperatore del Sacro.Romano.Impero nonché Re di Spagna. Più precisamente si inserisce nel secondo conflitto che vide impegnati i due sovrani dal 1526 al 1529.

Il primo conflitto si era concluso con la sconfitta di Francesco I a Pavia e la sottoscrizione del trattato di Madrid, avvenuta nel mese di gennaio del 1526, a seguito della quale il sovrano francese dovette rinunciare, tra l'altro, a ogni suo diritto sull'Italia e restituire la Borgogna agli Asburgo.

Nel maggio successivo, però, papa Clemente VII (al secolo Giulio de' Medici), sfruttando l'insoddisfazione del Valois per aver dovuto sottoscrivere un trattato contenente clausole estremamente mortificanti per la Francia, si rese promotore di una Lega anti-imperiale, la cosiddetta Santa Lega di Cognac.

In sostanza papa Clemente col re di Francia aveva condiviso il timore che il sovrano asburgico, una volta impossessatosi dell'Italia settentrionale e avendo già nelle sue mani l'intera Italia meridionale come eredità spagnola, potesse essere indotto a unificare tutti gli Stati della penisola sotto un unico scettro, a danno dello Stato Pontificio, che rischiava di rimanere isolato e venire fagocitato.

La Lega era composta oltre che dal papa e dal re di Francia, anche dal Ducato di MilanoRepubblica di VeneziaRepubblica di Genova oltre che dalla Firenze dei Medici. Vennero iniziate le ostilità nel 1526 attaccando la Repubblica di Siena, ma l'impresa si rivelò fallimentare e rivelò la debolezza delle truppe a disposizione del Papa.

L'imperatore, intenzionato a controllare momentaneamente l'Italia settentrionale, tentò di riconquistare il favore del pontefice; ma non avendo avuto successo, decise di intervenire militarmente. Solo che le sue forze erano impegnate altrove: sul fronte interno contro i luterani e su quello esterno contro l'Impero Ottomano, che premeva alle porte orientali dell'Impero, così fece in modo di fomentare una rivolta interna allo Stato Pontificio, tramite la potente famiglia romana dei Colonna, da sempre nemica dei Medici.

La rivolta dei Colonna produsse i suoi effetti. Il cardinale Pompeo Colonna sguinzagliò nella città pontificia i suoi soldati che la saccheggiarono. Clemente VII, assediato a Roma, fu costretto a chiedere aiuto all'imperatore con la promessa di cambiare la propria alleanza ai danni del re di Francia, rompendo la Lega Santa. Pompeo Colonna si ritirò con calma a Napoli. Clemente VII, una volta libero, non mantenne il patto stipulato comunque, e chiamò in suo aiuto proprio Francesco I.

A questo punto l'imperatore dispose l'intervento armato contro lo Stato Pontificio (che nella città di Roma era allora rappresentato dal Governatore Bernardo de' Rossi[1]) mediante l'invio di un contingente di lanzichenecchi, al comando del duca Carlo III di Borbone-Montpensier, uno dei più grandi condottieri francesi, inviso al re Francesco.

Le truppe sul campo erano comunque comandate dal generale Georg von Frundsberg, esperto condottiero tirolese dei lanzichenecchi imperiali, famoso per il suo odio verso la Chiesa di Roma e verso il papa; secondo il suo segretario personale Adam Reusner, egli avrebbe espresso apertamente il suo fermo proposito di impiccare Clemente VII dopo aver occupato la città[2]. L'esercito lanzichenecco radunato da Frundsberg, sarebbe stato guidato da alcuni esperti condottieri tedeschi, veterani delle guerre precedenti; tra i quali il figlio di Georg von Frundsberg, Melchiorre, Konrad von Boyneburg-BemelbergSebastian Schertlin, Corrado Hess e Ludovico Lodron[3]

La calata dei Lanzichenecchi

Lanzichenecchi in parata (circa 1530)

I Lanzichenecchi di Frundsberg, circa 12 000 miliziani mercenari arruolati principalmente a Bolzano e Merano, lasciarono Trento il 12 novembre 1526 e marciarono inizialmente in direzione di Brescia e Milano; tuttavia, dopo aver percorso difficili strade di montagna ed essere giunti nella valle di Gavardo, le milizie tedesche non riuscirono a superare lo sbarramento delle truppe della Lega che erano costituite in totale nel milanese da circa 35 000 soldati. Frundsberg ritenne impossibile sfondare verso Brescia e quindi deviò la marcia dei suoi lanzichenecchi in direzione di Mantova dove intendeva attraversare il Po[4].

Le milizie imperiali superarono alcune deboli resistenze a GoitoLonato e Solferino e quindi raggiunsero Rivalta; il 25 novembre 1526, i lanzichenecchi di Frundsberg, anche grazie al tradimento dei Signori di Ferrara e di Mantova (di cui sotto), sconfissero nella battaglia di Governolo le truppe di Giovanni dalle Bande Nere che tentavano di sbarrare loro il passo nei pressi di un ponte sul Mincio; lo stesso condottiero italiano, che nei giorni precedenti aveva cercato di rallentare l'avanzata nemica con una serie di incursioni di disturbo della sua cavalleria leggera, venne gravemente ferito da un colpo di falconetto[5], morendo dopo alcuni giorni per le conseguenze della ferita[5]. Le milizie tedesche quindi poterono passare il Po il 28 novembre 1526 vicino a Ostiglia e proseguirono l'avanzata; nei giorni seguenti vennero rinforzati da duecento uomini condotti da Filiberto di Chalons principe d'Orange e da cinquecento archibugieri italiani al comando di Niccolò Gonzaga[5].

Georg von Frundsberg, il comandante dei lanzichenecchi imperiali all'inizio della campagna
Carlo III di Borbone, comandante in capo del corpo di spedizione imperiale

Le truppe della Lega di Cognac dimostrarono scarsa coesione e mediocre efficienza militare; inoltre alcuni principi italiani favorirono l'avanzata dell'esercito imperiale; Alfonso I d'Este, duca di Ferrara, che dopo alcune incertezze si era alleato con Carlo V, fornì i suoi moderni pezzi d'artiglieria che rinforzarono l'esercito lanzichenecco prima della battaglia di Governolo, mentre a Mantova il marchese Federico II Gonzaga, pur formalmente alleato del papa, rifiutò di prendere parte attivamente alla guerra[6]. In queste condizioni gli eserciti della Lega presenti in Italia non furono in grado di fermare le truppe imperiali di Frundsberg che il 14 dicembre 1526 attraversarono il Taro e occuparono Fiorenzuola mentre le forze pontificie guidate da Francesco Guicciardini e Guido Rangoni ripiegavano da Parma e Piacenza in direzione di Bologna[7]. Contemporaneamente Francesco Maria della Rovere, duca di Urbino e comandante dell'esercito veneziano, dalle regione di Mantova si tenne prudentemente a distanza dall'esercito imperiale e rimase cautamente sulla difensiva; egli riteneva imbattibile in campo aperto l'esercito lanzichenecco e preferiva soprattutto coprire il territorio di Venezia[8].

In realtà anche i lanzichenecchi, nonostante la loro avanzata apparentemente inarrestabile, erano in difficoltà a causa dei continui attacchi di disturbo e soprattutto per le gravi carenze di vettovagliamento; marciando nel fango e nel freddo con scorte di cibo insufficienti, le truppe erano in condizioni deplorevoli e Georg von Frundsberg era seriamente preoccupato[9]. Il 14 dicembre da Fiorenzuola il condottiero imperiale inviò una pressante richiesta di aiuto a Carlo di Borbone che si trovava a Milano con le truppe spagnole che secondo i piani avrebbero dovuto congiungersi con i lanzichenecchi. Carlo di Borbone decise di muovere rapidamente in soccorso con le sue truppe che peraltro davano prova di scarsa disciplina e di insofferenza a causa del mancato pagamento del soldo[9]. Con alcuni espedienti il condottiero imperiale riuscì a convincere i suoi soldati a obbedire agli ordini e il 30 gennaio 1527 si mise in marcia da Milano, le truppe spagnole, 6 000 uomini, raggiunsero l'esercito lanzichenecco a Pontenure, vicino a Piacenza, il 7 febbraio 1527[9]. Il 7 marzo l'esercito imperiale riunito, ulteriormente rafforzato dall'arrivo di contingenti di truppe italiane filo-imperiali, arrivò a San Giovanni in territorio bolognese.

Giovanni delle Bande Nere, comandante delle truppe pontificie.
Francesco Maria della Rovere comandante in capo dell'esercito veneziano.

Il 16 marzo 1527 peraltro si verificarono nuove, gravi manifestazioni di indisciplina e sedizione tra le truppe imperiali a causa delle condizioni di vita estremamente disagiate e soprattutto del mancato versamento del soldo spettante alle truppe; dopo i tumulti incominciati tra i reparti spagnoli, anche i lanzichenecchi tedeschi si unirono alle proteste e il tentativo personale di Frundsberg di sedare la rivolta non ebbe successo. Le milizie invocarono il pagamento del soldo e il condottiero tedesco, mentre parlava alle truppe, ebbe un grave malore[10]. Colpito da ictus, Frundsberg, dopo inutili tentativi di cura, dovette cedere il comando e il 22 marzo venne evacuato, ormai infermo, nel suo castello di Mindelheim[10]. Il comando del corpo di spedizione imperiale venne assunto da Carlo di Borbone che ebbe grande difficoltà a ristabilire la disciplina[10].

Proprio durante i giorni della sedizione tra le truppe imperiali, giunsero nel campo gli inviati del viceré di Napoli Carlo di Lannoy per informare Carlo di Borbone che una tregua era stata stabilita con il papa Clemente VII sulla base di un versamento di sessantamila ducati all'esercito imperiale[11]. Il papa, estremamente preoccupato per l'invasione, aveva deciso di intavolare trattative e rompere la solidarietà tra le potenze della Lega di Cognac. Le notizie dell'accordo tuttavia provocarono violente proteste tra le truppe imperiali desiderose di rivalersi delle fatiche della guerra con un devastante saccheggio del territorio nemico; la tregua venne quindi respinta e Carlo di Borbone decise autonomamente di riprendere l'avanzata dopo aver comunicato al viceré che egli non poteva opporsi al volere delle truppe[12].

Gli imperiali, circa 35 000 soldati spagnoli, tedeschi e italiani, superata Forlì, dove circa 500 di loro ebbero la peggio in una scaramuccia con le truppe di Michele Antonio di Saluzzo, oltrepassarono l'Appennino e si portarono ad Arezzo, seguendo, quindi, la via Romea Germanica. Da qui, il 20 aprile 1527, ripartirono, approfittando delle precarie situazioni in cui si trovavano i veneziani e i loro alleati a causa dell'insurrezione di Firenze contro i Medici. Le truppe a difesa di Roma erano poco numerose (non più di cinquemila), ma avevano dalla loro parte le solide mura e l'artiglieria, di cui gli assedianti erano sprovvisti. Borbone doveva prendere la città in fretta, per evitare di essere intrappolato a sua volta dall'esercito della Lega.

L'assalto a Roma

Sacco di Roma, Francisco J. Amérigo, 1884
Sacco di Roma, Francisco J. Amérigo, 1884.

La mattina del 6 maggio gli Imperiali cominciarono l'attacco. Vi erano 14 000 Lanzichenecchi e 6 000 spagnoli. A essi si aggiungevano le fanterie italiane di Fabrizio Maramaldo, di Sciarra Colonna e di Luigi Gonzaga "Rodomonte"; molti cavalieri si erano posti sotto il comando di Ferrante I Gonzaga e del principe d'Orange Filiberto di Chalons; inoltre si erano accodati anche molti disertori della Lega, i soldati licenziati dal papa e numerosi banditi attratti dalla speranza di rapine.

L'assalto si concentrò tra il Gianicolo e il Vaticano. Per essere di esempio ai suoi, Carlo di Borbone fu tra i primi ad attaccare, ma mentre saliva su una scala fu ferito gravemente da una palla d'archibugio, che sembra sia stata tirata da Benvenuto Cellini (secondo l'autobiografia dello stesso).[13] Ricoverato nella chiesa di Sant'Onofrio, il Borbone morì nel pomeriggio. Ciò accrebbe l'impeto degli assalitori, che, a prezzo di gravi perdite, riuscirono a entrare nel quartiere del Borgo. Il successore del Borbone fu il principe d'Orange.

Mentre le truppe spagnole assaltavano le mura comprese Porta Torrione e Porta Fornaci, i lanzichenecchi, guidati dal luogotenente di Frundsberg, il condottiero Konrad von Boyneburg-Bemelberg, incominciarono la scalata ai bastioni compresi tra Porta Torrione e Porta Santo Spirito. I tedeschi riuscirono dopo strenui sforzi a superare il muro di cinta nel settore di Porta Santo Spirito; i capitani Nicola Seidenstuecker e Michele Hartmann raggiunsero con i loro lanzichenecchi gli spalti, conquistarono i cannoni e costrinsero alla fuga i difensori[14].

Mentre i lanzichenecchi tedeschi moltiplicavano gli sforzi per ampliare la breccia e valicare in massa le mura a Porta San Pietro, un reparto di soldati spagnoli riuscì fortunosamente a individuare una finestra malamente mimetizzata di una cantina del palazzo Armellini a ridosso delle mura che era apparentemente indifesa; attraverso questa finestra gli spagnoli imboccarono uno stretto cunicolo che li condusse all'interno del palazzo Armellini dove non incontrarono alcuna resistenza. I soldati ritornarono quindi indietro e ampliarono l'apertura; le truppe poterono così riversarsi, invadere il quartiere e avanzare verso San Pietro[15]. Contemporaneamente i lanzichenecchi tedeschi, coperti dal fuoco degli archibugi, conquistarono gran parte delle mura e, mentre le truppe pontificie ripiegavano in rotta, si diressero a loro volta verso la basilica avanzando sulla destra degli spagnoli[16].

Il papa, che era in preghiera nella chiesa, fu condotto attraverso il passetto al Castel Sant'Angelo mentre 189 Guardie svizzere (anch'esse mercenarie ma fedeli al papa) si fecero trucidare per difendere la sua fuga.

Privi di comando, i lanzichenecchi, fino ad allora frustrati da una campagna militare deludente, si diedero al saccheggio e alla violenza sugli abitanti della città partendo da Borgo Vecchio e dall'ospedale di Santo Spirito, con una brutalità inaudita e anche gratuita. Furono profanate tutte le chiese, furono rubati i tesori e furono distrutti gli arredi sacri. Le monache furono violentate, così come le donne che venivano strappate dalle loro case. Furono devastati tutti i palazzi dei prelati e dei nobili (come gli esponenti della famiglia Massimo), con l'eccezione di quelli fedeli all'imperatore. La popolazione fu sottoposta a ogni tipo di violenza e di angheria. Le strade erano disseminate di cadaveri e percorse da bande di soldati ubriachi che si trascinavano dietro donne di ogni condizione, e da saccheggiatori che trasportavano oggetti rapinati.

Papa Clemente VII si trovò rifugiato nell'imprendibile Castel Sant'Angelo. Il 5 giugno, dopo aver accettato il pagamento di una forte somma per il ritiro degli occupanti, si arrese e fu imprigionato in un palazzo del quartiere Prati in attesa che versasse il pattuito. La resa del papa era però uno stratagemma per uscire da Castel Sant'Angelo e, grazie agli accordi segretamente presi, fuggire dalla Città eterna alla prima occasione. Il 7 dicembre una trentina di cavalieri e un forte reparto di archibugieri agli ordini di Luigi Gonzaga "Rodomonte", assaltarono il palazzo liberando Clemente VII che venne travestito da ortolano per superare le mura della città e, poi, scortato a Orvieto. Nell'iconografia pittorica, Clemente VII a partire dal 1527 verrà dipinto con una barba bianca, pare divenuta tale in tre giorni, a seguito del dolore causatogli dal sacco.

Avendo saccheggiato il saccheggiabile e perduta la possibilità di ottenere il riscatto, nonché decimati dalla peste e dalle diserzioni (assimilati nella popolazione), gli Imperiali si ritirarono da Roma tra il 16 e il 18 febbraio 1528.

Il sacco causò danni incalcolabili sul patrimonio artistico della città. Anche i lavori nella fabbrica di san Pietro si interruppero e ripresero solo nel 1534 con il pontificato di Paolo III:

«Tutte le cose sacre, i sacramenti e le reliquie de' santi, delle quali erano piene tutte le chiese, spogliate de' loro ornamenti, erano gittate per terra; aggiugnendovi la barbarie tedesca infiniti vilipendi. E quello che avanzò alla preda de' soldati (che furono le cose più vili) tolseno poi i villani de' Colonnesi, che venneno dentro. Pure il cardinale Colonna, che arrivò (credo) il dí seguente, salvò molte donne fuggite in casa sua. Ed era fama che, tra denari, oro, argento e gioie, fusse asceso il sacco a più di uno milione di ducati, ma che di taglie avessino cavata ancora quantità molto maggiore.»

(Francesco GuicciardiniStoria d'Italia, 18,8)

Oltre alla forte somma per il ritiro degli occupanti, il papa a garanzia dovette consegnare come statichi (ostaggi) Giovanni Maria del Monte (futuro papa Giulio III), arcivescovo Sipontino; Onofrio Bartolini, arcivescovo di Pisa; Antonio Pucci, vescovo di Pistoia: Gian Matteo Giberti, vescovo di Verona.[17]

Il giorno stesso in cui cedettero le difese di Roma, il capitano pontificio Guido II Rangoni, si spinse fino al ponte Salario con una schiera di cavalli e di archibugieri, ma, vista la situazione, si ritirò a Otricoli. Francesco Maria della Rovere, che si era riunito alle truppe del marchese di Saluzzo, si accampò a Monterosi in attesa di novità. Dopo tre giorni il principe d'Orange ordinò che si cessasse il saccheggio; ma i lanzichenecchi non ubbidirono e Roma continuò a essere violata, finché vi rimase qualcosa di cui impossessarsi.[18]

Alcune famiglie romane, dalla parte dei lanzichenecchi, riuscirono a salvare i loro beni. Tra queste, oltre ai Colonna, i Gonzaga e la famiglia Farnese. Infatti mentre uno dei figli di Alessandro (il successivo papa Paolo III), Ranuccio Farnese, era schierato con il papa Clemente VII, l'altro figlio Pier Luigi era comandante tra i lanzichenecchi. Entrando in Roma, Pier Luigi si acquartierò a palazzo Farnese salvando così i beni della famiglia.[19]

Il saccheggio vero e proprio durò otto giorni, al termine dei quali la città rimase occupata dalla truppe, che cercarono anche in seguito di sfruttare la situazione esigendo riscatti per i prigionieri. Il ritiro vero e proprio si ebbe solo nel febbraio dell'anno successivo.

Effetti sulla popolazione di Roma

Sacco di Roma, incisione di Maarten van Heemskerck.

Al tempo del "Sacco", la città di Roma contava, secondo il censimento pontificio realizzato tra la fine del 1526 e l'inizio del 1527, 55.035 abitanti[20], prevalentemente composti da colonie provenienti da varie città italiane, a maggioranza fiorentina.

Una tale esigua popolazione era difesa da circa 4 000 uomini in armi e dai 189 mercenari svizzeri che formavano la guardia del pontefice.

Le secolari carenze manutentive all'antica rete fognaria avevano trasformato Roma in una città insalubre, infestata dalla malaria e dalla peste bubbonica. L'improvviso affollamento causato dalle decine di migliaia di lanzichenecchi aggravò pesantemente la situazione igienica, favorendo oltre misura il diffondersi di malattie contagiose che decimarono tanto la popolazione, quanto gli occupanti.

Alla fine di quell'anno tremendo, la cittadinanza di Roma fu ridotta quasi alla metà dalle circa 20 000 morti causate dalle violenze o dalle malattie. Tra le vittime si annoverano anche alti prelati, come il cardinale Cristoforo Numai da Forlì, che morì pochi mesi dopo per le sofferenze patite durante il saccheggio. Come in molti altri luoghi dell'Europa a causa delle guerre di religione, si determinò un periodo di povertà nella Roma del XVI secolo.

Cause dello scempio

Allegoria delle sofferenze di Roma (Francesco Xanto Avelli, 1528-1531 circa).

Le ragioni che indussero i mercenari germanici ad abbandonarsi a un saccheggio così efferato e per così lungo tempo, cioè per circa dieci mesi, risiedono nella frustrazione per una campagna militare fino ad allora deludente e, soprattutto, nell'acceso odio che la maggior parte di essi, luterani, nutrivano per la Chiesa cattolica.

Inoltre, a quei tempi i soldati venivano pagati ogni cinque giorni, cioè per "cinquine". Quando però il comandante delle truppe non disponeva di denaro sufficiente per la retribuzione delle soldatesche, autorizzava il cosiddetto "sacco" della città, che non durava, in genere, più di una giornata. Il tempo sufficiente, cioè, affinché la truppa si rifacesse della mancata retribuzione.

Nel caso specifico, i lanzichenecchi non solo erano rimasti senza paga, ma erano rimasti anche senza il comandante. Infatti il Frundsberg era rientrato precipitosamente in Germania per motivi di salute e il Borbone era rimasto vittima sul campo.

Senza paga, senza comandante e senza ordini, in preda a un'avversione rabbiosa per il cattolicesimo, fu facile per abbandonarsi al saccheggio per un così lungo tempo della non più eterna Roma.

Conseguenze

Oltre che per la storia della città di Roma, il sacco del 1527 ha avuto una valenza epocale tanto che Bertrand Russell e altri studiosi indicano il 6 maggio 1527 come la data simbolica in cui porre la fine del Rinascimento.

Religione

A partire dal sacco, incomincerà una svolta per l'intero mondo cattolico. Le logiche di potere delle famiglie e i discutibili costumi che avevano dominato il papato avevano dato luogo alla critica luterana e alla nascita del Luteranesimo. Il sacco della cattolica Roma da parte di un astioso e disprezzante esercito protestante, appena dieci anni dopo la pubblicazione delle tesi di Lutero (1517), è uno degli elementi che obbligarono la Chiesa (e le famiglie) a reagire. Paolo III Farnese successore di Clemente VII Medici, nel 1545 indisse il Concilio di Trento, con la conseguente nascita della Controriforma.

Politica

Il sacco di Roma, voluto da Carlo V d'Asburgo e avvenuto all'interno della Guerra della Lega di Cognac (1526-30), si inquadra come evento clamoroso all'interno di uno dei conflitti del XVI secolo che porteranno poi alla spartizione dell'Europa tra Asburgo e Francia culminati poi, nel 1559, con la Pace di Cateau-Cambrésis.

Arte

Prima del sacco Roma era la principale meta per qualsiasi artista europeo desideroso di fama e ricchezza, per le prestigiose commissioni della corte papale. Il sacco generò una vera e propria diaspora, che portò, prima nelle corti italiane e poi europee, lo stile della "grande maniera" degli allievi di Raffaello e di Michelangelo.

Negli anni seguenti al sacco, la controriforma segnò però un nuovo stile più didascalico e comprensibile, talora venato di gravità e imponenza celebrativa verso la Chiesa cattolica. Ne è un chiaro esempio l'evoluzione dello stesso Michelangelo Buonarroti, che nel 1508-1512 aveva dipinto la volta della Cappella Sistina con raffigurazioni bibliche, e che tornò nello stesso luogo nel 1536-1541 con l'ammonitorio Giudizio Universale.

Alcuni vandalismi

    Un alt Colonna, trecut de partea papei. 

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